Trasfusioni di sangue

Chi soffre di anemia mediterranea grave sa già cosa significhi convivere con le trasfusioni di sangue ed è consapevole che esse, ricevute presso i centri autorizzati, non rappresentano una forma di rischio. Tuttavia, chi ha scoperto da poco di avere un figlio talassemico, potrebbe essere scosso al pensiero che il piccolo possa essere esposto a pericoli di vario genere.

Le trasfusioni di sangue, eseguite correttamente, però non presentano quasi nessuna controindicazione, ma sono una cura che aiuterà il bambino a condurre una vita quanto più normale possibile.

In questo articolo cercheremo di capire come funziona una trasfusione di sangue, quali sono le sue modalità e quali sono i suoi rischi, per tranquillizzare sul fatto che, se eseguite (come deve essere) sotto lo stretto controllo di un medico specialista in ematologia, nelle trasfusioni non c’è assolutamente nulla da temere.

Il sangue e gli antigeni

Anche i non anemici, per i ricordi che riaffiorano dalla scuola dell’obbligo, sapranno già che il sangue umano si suddivide in gruppi sanguigni – A, AB, B, O – con un Rh che può essere positivo o negativo.

Tuttavia, il fatto che due individui abbiano due gruppi sanguigni uguali, non significa che essi abbiano il sangue uguale. Questo perché esistono circa 250 antigeni differenti nel sangue e ogni singola persona ne possiede uno di cui un’altra potrebbe non essere dotata.

Per una corretta trasfusione di sangue, oltre al gruppo sanguigno, bisogna dunque tenere in considerazione gli antigeni.

Gli antigeni che dovrebbero combaciare fra il donatore e il trasfuso cronico sono K, E, C e JKB. Se questi non si associano, dalla trasfusione possono scaturire gli effetti indesiderati che vedremo nei paragrafi successivi.

Tuttavia, tra gli antigeni “principali”, cioè l’Rh, A e B, e quelli secondari, le reazioni che ha l’organismo non sono della stessa entità: se ad un individuo di sangue A viene fornito sangue del gruppo B, la risposta del suo sistema immunitario (che vede il gruppo B come un nemico da combattere) sarà così alta che la persona rischierà la vita; viceversa, se il sangue non è compatibile per antigeni che danno una reazione inferiore, l’importante è non sbagliare a lungo termine, perché se in casi di pericoli immediati (forte emorragia da incidente) non ci sono problemi, in caso di trasfusioni croniche potrebbero sopraggiungere.

Per questo viene effettuato, prima di una trasfusione, sempre un test detto cross-match, o “incontro incrociato”, per provare a dare una traduzione: in questo caso vengono messi a contatto, su un vetrino, il sangue del donatore e il sangue del ricevente.

Se non c’è alcuna reazione si può procedere con la donazione, mentre se c’è una reazione non si può trasferire quel sangue: per quel paziente serve un’altra sacca. Questo test è importante per valutare la piena compatibilità tra ricevente e donatore, riducendo in questo modo i rischi il più possibile.

Il sangue buono e il sangue infetto

Talvolta si guarda alle trasfusioni di sangue con scetticismo per via delle possibili infezioni che da esse deriverebbero.

Certamente, se il sangue di un donatore non è stato analizzato rispettando gli standard prefissi, il rischio di contrarre un virus è molto alto, ma fortunatamente in Italia abbiamo organizzazioni come “l’AVIS” che lavorano affinché il sangue nelle banche sia sano e di qualità.

Se avete mai donato o se conoscete qualche donatore sappiate che, prima della donazione, viene eseguita al donatore una visita, che ha una doppia valenza: quella di salvaguardare il donatore (un donatore con pressione bassa, o anemico, per la sua stessa salute, non può donare) e quella di salvaguardare la persona che riceverà il suo sangue: a tal proposito viene eseguito un test di analisi su una goccia di sangue, che permette di individuare subito se sono presenti nel sangue alcuni virus o batteri, tramite una reazione enzimatica detta ELISA (che è istantanea ed è lo stesso principio del test di gravidanza, solo che in quel caso si analizza l’urina e non il sangue).

Non solo: dopo questo primo test preliminare ne viene eseguito un altro, che è l‘analisi del sangue vera e propria, da eseguire dopo la donazione ma prima che il sangue venga trasfuso in un’altra persona. Qui si valutano anche altri aspetti, oltre a quelli delle malattie infettive, che permettono di stabilire definitivamente se il sangue sia buono o meno; questo test è composto da due parti, una strumentale (una macchina che analizza) e una umana (goccia di sangue sul microscopio), per verificare che non ci siano problemi che all’altro esame sfuggono.

Esistono, però, anche delle infezioni che hanno un periodo di incubazione piuttosto lungo, durante il quale il virus potrebbe sfuggire ad alcuni dei comuni test da laboratorio; questo perché il virus in incubazione non si trova nel sangue (fuori dalle cellule) ma dentro le cellule, e le macchine non riescono ad individuarlo.

Tuttavia, le recenti misure di profilassi prevedono test sempre più all’avanguardia e frequenti, che garantiscono una sicurezza nelle trasfusioni di sangue praticamente assoluta. Per fare un esempio, la possibilità di incappare in malattie come l’HIV o l’epatite C (due delle malatte più infettanti a trasmissione ematica, con il sangue) è inferiore ad 1 su un 1.000.000.

Le infezioni batteriche, nei malati di anemia mediterranea, sono meno comuni, poiché esse si trasmettono di solito tramite le trasfusioni con le sole piastrine, mentre il talassemico ha bisogno di globuli rossi. Nelle trasfusioni di sangue per anemici, i batteri statisticamente più ricorrenti appartengono alla famiglia Yersinia.

Se a seguito di una trasfusione il paziente dovesse riportare stati febbrili, episodi di vomito, diarrea o nausea frequente, è raccomandabile contattare immediatamente il medico che prescriverà analisi più accurate. Gli stati febbrili, come vedremo nel paragrafo successivo, non sono però dovuti soltanto ad infezione batterica.

Febbre e malessere dopo le trasfusioni di sangue

Un problema che può verificarsi dopo essere stati trasfusi è quello della comparsa della febbre.

L’aumento della temperatura è dovuto alla presenza di sostanze chimiche, rilasciate dai globuli bianchi, nel sangue ricevuto: trovandosi davanti qualcosa di completamente nuovo, il globulo bianco mette il corpo in condizioni di combattere, aumentando la temperatura a 38 gradi, così da favorire l’organismo e sfavorire i batteri (che sopravvivono e si moltiplicano più velocemente a 37 gradi). Ma è solo una precauzione dell’organismo, che quando si rende conto che non c’è pericolo ripristina la temperatura normale. Per cui si tratta di un disturbo transitorio che non porta ripercussioni.

Le cose cambiano se la febbre è di matrice emolitica. Questo si verifica quando gli anticorpi del ricevente attaccano e distruggono i nuovi globuli rossi.

Non si tratta di una reazione molto comune, ma quando si presenta vuol dire che siete stati trasfusi con buste di sangue “sbagliato”, verosimilmente con antigeni (A, B, Rh) che non si combinano con i vostri. I sintomi della febbre emolitica acuta sono, oltre all’aumento di temperatura, dolori sparsi, brividi, abbassamento della pressione sanguigna e sangue nelle urine. La trasfusione va immediatamente sospesa. Se non si interviene rapidamente, il rischio è di subire uno shock, ovvero la mancanza di sangue in vari organi. Questo è il motivo per cui, quando un paziente subisce una trasfusione, c’è sempre un medico che controlla che sia tutto a posto, così da poter reagire immediatamente in caso di bisogno.

Un altro tipo di reazione ad una trasfusione non correttamente eseguita è quello che si manifesta in un lasso di tempo fra i due giorni successivi e le due settimane, quando i globuli rossi trasfusi hanno antigeni minori differenti da quelli del nostro sangue, gli antigeni di cui parlavano prima. Le cellule tendono a distruggersi, rilasciando l’emoglobina che trasportano.

Il paziente andrà incontro a febbre, bilirubina alta e peggioramento dell’anemia. Anche in questo caso, però, si tratta di procedimenti errati viziati da errori di forma (come un cross-match eseguito male), che nell’ambito di trasfusioni di sangue regolari non dovrebbero mai verificarsi.

Le allergie

Una delle conseguenze più rare delle trasfusioni, sempre parlando di reazioni avverse, è l’allergia, che può verificarsi anche se il sangue è perfettamente compatibile tra il donatore e il ricevente.

In questo caso, infatti, il problema è che degli allergeni (che possono essere molecole di qualsiasi tipo, anche qualcosa che il donatore aveva mangiato prima della trasfusione) che non davano alcun problema al donatore vengono immessi in circolo ad una persona allergica.

Esempio pratico: A non è allergico alle noci e le mangia ogni sera, poi va a donare il sangue, che è perfetto. B deve ricevere il suo sangue, che è compatibile, ma è allergico alle noci: quando inizierà la trasfusione, B presenterà una reazione allergica nonostante il sangue sia sano.

Fortunatamente, questa è una reazione, oltre che rara, che si manifesta subito nel momento in cui il trasfuso riceve il sangue: si può immediatamente contrastare con gli antistaminici (l’istamina è la molecola che da il via alla reazione allergica) e si continua la trasfusione con la sacca di un altro donatore compatibile.

Il sovraccarico di ferro

Questa è una delle controindicazioni delle trasfusioni che sono intrinseche nella pratica, e riguarda solamente i pazienti talassemici.

Queste persone sono infatti sempre sottoposte all’accumulo di ferro, perché questo minerale non viene gestito correttamente per produrre i globuli rossi, nel loro corpo, in quanto il processo stesso di produzione ha dei problemi.

Oltre a dover seguire una dieta particolare evitando di mangiare eccessivamente ferro, i trasfusi devono tenere sempre sotto controllo i livelli del ferro nel loro sangue anche dopo le trasfusioni: infatti il ferro del donatore è solitamente a livelli che sono normali in chi dona, ma alti in chi riceve.

Di solito, il ferro nel sangue è sempre alto dopo una trasfusione (perché si somma il ferro trasfuso a quello che già c’era nel proprio sangue) ma poi dovrebbe tornare a livelli normali. Se non lo fa, si accumula in alcuni organi, come il fegato, e ne danneggia le cellule.

Questo si presenta nel giro di diverse settimane se non mesi, per cui un tempo molto esteso, in cui si iniziano ad accusare i sintomi di problemi epatici (come la cattiva digestione, o le feci di colore giallo e non marrone). In questo caso, però, si mette in pratica una terapia con farmaci ferrochelanti, che si legano al ferro, lo “acchiappano” e lo portano nell’urina perché sia eliminato.

Se dopo ogni trasfusione vengono assunti questi farmaci, si evitano gli effetti dovuti all’accumulo di ferro.

Le lesioni ai polmoni

Le lesioni polmonari sono un problema che, ancora oggi, è di difficile comprensione. Alcuni pazienti manifestano delle reazioni infiammatorie polmonari (simili alla polmonite, come sintomi) dopo una trasfusione: in casi di pazienti trasfusi malati gravi questo può portare anche alla morte.

Il problema, tuttavia, non è stato ancora identificato ma sembra presentarsi di più se a una persona viene trasfuso sangue di una persona di sesso opposto: per questo, da qualche tempo si è iniziato a distinguere il sangue maschile da quello femminile, in modo da ridurre il problema.

Così si è osservata effettivamente una riduzione, ma solo parziale: in altri casi questa situazione si è verificata comunque e i ricercatori stanno ancora cercando di scoprire quale sia la causa.

Malattia del trapianto contro l’ospite

Nelle reazioni dovute agli allergeni, i globuli bianchi del ricevente non riconoscono le cellule del donatore, e iniziano ad attaccarle.

Nel caso della malattia del trapianto contro l’ospite avviene esattamente la reazione opposta: i globuli bianchi del donatore attaccano il ricevente. È una malattia letale, ma è anche incredibilmente rara, perché di solito il sistema immunitario del ricevente riesce a tenere a bada questo tipo di reazione.

Si presenta quindi solamente nei pazienti immunicompromessi che sono principalmente i malati di AIDS (non HIV, AIDS, che è la parte finale della malattia vera e propria, HIV è il virus) e chi sta seguendo delle chemioterapie. In questo caso viene trasfuso solamente sangue trattato, da cui sono stati rimossi o neutralizzati i globuli bianchi: poiché la persona che riceve la trasfusione ha bisogno di globuli rossi, si possono neutralizzare i globuli bianchi per evitare che possa avvenire questo tipo di fenomeno.

Tenere sotto controllo i rischi della trasfusione

Per fortuna, i rischi derivanti dalle trasfusioni sono pochi e, soprattutto, sono rari. Le pratiche mediche, così come vengono eseguite, fanno in modo di ridurre al minimo gli errori, che però possono essere eliminati ancora di più grazie al buonsenso di chi riceve il sangue.

Innanzitutto, se abbiamo qualche problema bisogna dichiararlo: se prendiamo medicine, abbiamo avuto la febbre, siamo allergici, siamo diabetici o quant’altro il medico lo deve sapere, perché prenderà tutte le precauzioni necessarie per non peggiorare la precauzione già presente.

Inoltre, una trasfusione è molto lunga (da una a quattr’ore) ma bisogna essere sicuri che almeno per i primi quindici minuti nella stanza con noi ci sia un infermiere o un medico che possa intervenire in caso di reazioni emolitiche, allergiche o comunque di reazioni rapide da trattare immediatamente.

Oltre a questo, seguire scrupolosamente le cose che ci vengono dette dai medici, e non fare mai di testa propria, è sempre la cosa più importante: se qualcosa non vi sembra quadrare, è sempre importante chiedere spiegazioni. Durante una trasfusione siete circondati da persone competenti che sanno come agire nelle varie situazioni, e sono addestrate per quello che devono fare.

Chiedere senza paura, qualsiasi cosa, non è mai una cattiva idea.